Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Dolce, Lodovico
Titolo
Lettera a Benedetto Varchi
Data
Venezia, 17 giugno 1553
Descrizione
Lodovico Dolce scrive a Benedetto Varchi, contento per la lettera di Varchi in cui dimostra di amarlo e di non aver cambiato giudizio su di lui, nonostante le accuse che Gabriel Moles ha riferito a Varchi. Non vuole parlare delle accuse, per non contraddirsi o per entrare in polemica con Moles "in materia del Mutio" [probabilmente un'allusione ironica a 'Il duello del Mutio Iustinapolitano', ristampato in quell'anno a Venezia da Giolito]. Ora scrive su "quell'altro amico" [Girolamo Ruscelli], dicendo che sarà anche un letterato, cosa che Dolce non può confermare non intenendosene, ma che non è mai stato un uomo per bene, tanto quanto la bontà non sta con un infame, il dolce non sta nell'amaro e il bianco nel nero; quando ne avrà il tempo imbratterà "un foglio delle sue novelle" [minaccia senza seguito], ma ora vuole passare ad altro. Dolce pensa che come il leone si conosce dalle unghie, così dal primo canto del suo 'Achille' [riferimento: lettera "Già buoni dì il signor Gabriel Moles, come già mi ricorda" del 23-5-1553] si può giudicare già tutta l'opera, perché avrà lo stesso stile e modo di scrivere; il soggetto e l'ordine non sono di Dolce, come Varchi ben sa, perché ha tratto le informazioni da Stazio ['Achilleis'], da Omero ['Iliade'] e da Quinto Calabro [Quinto Smirneo, 'Postomericha']. Dove si interrompe l'opera di Stazio inizia quella di Omero, quindi per collegare le informazioni Dolce pensa di attingere da altri autori. Per Omero può usare solo i lavori di traduzione di [Lorenzo] Valla [traduzione latina dell'Iliade] e [Raffaele] Regio [non si conoscono suoi lavori su Omero], [Dolce confessa indirettamente la sua ignoranza della lingua greca], e non si discosterà da "la nostra favella et anco in parte i nostri costumi". Come ha fatto con le 'Trasformationi' ['Trasformationi di Messer Lodovico Dolce', Venezia, Giolito, 1553, riduzione-adattamento delle 'Metamorfosi' di Ovidio], Dolce manderà a Varchi, di tanto in tanto, quando saprà di non disturbare, alcuni altri canti. Afferma che nelle 'Trasformationi', da Varchi lodate, ha fatto molti errori, ma che non se ne vergogna più di tanto perché anche ad altri grandi uomini è successo, mentre componevano opere nello spazio di anni e poi per lungo tempo, e da molti, controllate. Bembo, pur diligente riguardo le regole della lingua volgare, ignorava le indicazioni di Petrarca e Dante riguardo gli articoli 'il' e 'lo', e la particella 'nella'; una volta scoperte le ha divulgate, ma nonostante poi le abbia applicate, nelle sue rime ha lasciato in varie occasioni la versione precedente: nell'ultima edizione in vita degli 'Asolani' ha lasciato 'in la' nel verso "Et hodo dir in l'erba" [Pietro Bembo, 'Gli Asolani', Venezia, per Bartholomeo detto l'Imperador, et Francesco suo genero, 1546]; inoltre scrisse "e sfida i spirti lassi", accortosene indicò ad [Antonio] Anselmi di emendarlo in "e sfida i membri lassi" [in Pietro Bembo, 'Le rime', a cura di Andrea Donnini, Roma, Salerno editrice, 2008, sonetto 'Ov'è, mia bella et cara et fida scorta' 161, verso 7], dicendo che anche conoscendo le regole si può sbagliare. Anche Ariosto nell''Orlando furioso' fece molti errori, li corresse poi, ma nell'ultima pubblicazione, riformata e ampliata, ne dimenticò comunque uno, nel verso "Che 'l sciocco volgo non gli vuol dar fede", usando 'il' invece di 'lo' [Ludovico Ariosto, 'Orlando furioso', VII 1 5], e nel primo canto "che de le lucide onde al specchio siede" [idem, I 28 3], anche se forse non lo si può considerare errore. E [Gabriele] Giolito può testimoniare che lo stesso Dolce ha trovato nel suo libro a stampa dell'anno passato una desinenza falsa, e l'ha corretta come meglio ha potuto. Ma anche nel Petrarca vengono usati in modo errato [allude a tre luoghi del 'Canzoniere' ('Rerum vulgarium fragmenta'), 287 9; 211 13; 336 13; e a due dei 'Triumphi', Trionfo dell'Eternità 43, Trionfo della Morte I 170]; Varchi può controbattere che Bembo legge diversamente i versi incriminati, e che lo stesso Dolce scrisse che nei sonetti scritti dalla mano del Petrarca stanno bene [gli errori], ma Dolce ricorda a Varchi che Aldo [Manuzio] nella sua prima stampa su Petrarca ['Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha', Venezia, Manuzio, 1501] disse di aver usato una copia manoscritta di Petrarca avuta da Bembo, il quale però di manoscritto aveva solo "pochi squarci". Aldo quindi mentì dicendo di avere usato il testo intero, ma la si può considerare una bugia veniale. Ammettendo però che Petrarca in quei passi non fece errori, si chiede Dolce se in altri luoghi invece non abbia sbagliato [Francesco Petrarca, 'Rerum Vulgarium Fragmenta', 40 9; 78 3; 280 7; 325 74], tenendo conto che Ariosto imitò questi modi di scrivere; lascia il giudizio a Varchi. Dolce non fa questo elenco per giustificare i suoi errori, ma per confessarli con più sicurezza, e per scusarsene. Dolce sa che chi guarda da fuori due persone giocare vede facilmente abilità ed errori, ma una volta al tavolo di gioco ne può fare anche di peggiori; così egli conosce le regole del buon scrivere, e le ha elencate nelle sue "Osservationi" [Lodovico Dolce, 'Osservationi della volgar lingua di Messer Lodovico Dolce divise in quattro libri', Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari e fratelli, 1550], ma può trasgredirle per smemoratezza o inavvertenza, soprattuto nelle opere lunghe, che necessitano di più giorni per la composizione. Anche i grandi uomini possono sbagliare, e sbaglia pure chi ci impiega anche vent'anni a pubblicare un'opera, nonostante le molte revisioni e correzioni; perciò, Dolce sa perfettamente di averne fatti nell'opera terminata e pubblicata in soli otto mesi, senza nemmeno averla rivista. Spera pertanto, avendone consapevolezza, che i difetti verranno scusati; mentre non avrebbero perdono se ignorati. I difetti Dolce li aveva elencati in una lettera per Varchi andata però perduta. Il signor Giorgio [forse Francesco Zorzi] ha trascritto la parte della lettera di Varchi che lo riguarda; e provvederà. Dolce ha mandato il sonetto a Fortunio [Spiro], al quale è piaciuto; egli manderà a Varchi, tramite Dolce, la risposta. Dolce conclude dicendo che voleva mandare a Varchi una canzone di [Giovan Battista] Amalteo, giovane dotto in ogni lingua e facoltà, ma non ne ha il tempo.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12094
Nomi
  • [Mittente] Dolce, Lodovico
  • [Destinatario] Varchi, Benedetto

Data indicizzazione: 09 ottobre 2021