Scheda risorsa
- Sito web
- Archilet
- Tipo risorsa
- Lettera
- Autore
- Varchi, Benedetto
- Titolo
- Lettera a Lodovico Dolce
- Data
- Padova, 20 febbraio 1541
- Descrizione
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Benedetto Varchi avvisa Lodovico Dolce che [Gabriele] Zerbi gli ha consegnato, la sera prima, il disegno dell’Inferno di Dante [cfr. ‘Io non vorrei che voi credeste che io per altra cagione’] e la lettera di Dolce, alla quale risponde che per lui doveva fare quello che ha fatto, e chi conosce la gentilezza dell’amico allora può accettarne l’azione. Varchi scrive a Dolce che ha bisogno di notizie “di costì” [Venezia?] e gli chiede di non addolcirle. Chiede anche di mandargli il conto di quello che Dolce ha speso per inviargli ciò che ha richiesto, e di fargli presto avere quel che ha domandato nell’altra lettera; in più vorrebbe un Virgilio “di quelli coll’indice” e una ‘Poetica’ di Bernardino Daniello [‘Poetica volgare’, Venezia, Nicolini da Sabbio, 1536], della quale in vendita non si trovano più copie: gli chiede di domandane una, di persona, per lui; infine il volume delle rime di [Antonio] Brocardo dove si trovano anche quelle di [Francesco Maria] Molza [‘Rime del Brocardo et d’altri authori’, Venezia, Francesco Amadi, 1538]. Vuole sapere se i soldi necessari deve darli al portalettere o a [Trifon] Gabriele, al quale chiede di essere raccomandato una volta che Dolce gli avrà scritto. Gli avvisi che Dolce gli ha dato gli sono stati molto cari; per quanto riguarda il dialogo di Sperone [Speroni], Dolce può tenerlo anche un paio d’anni; possiede solo quello e non sa, Varchi, in quali altri dialoghi viene menzionato, ma una volta finita la lettera andrà a cercarne un altro e lo manderà a Dolce [menzioni di Varchi figurano solo in: Sperone Speroni, ‘Dialogo della dignità delle donne’ e ‘Dialogo delle laudi del Cathaio’: ‘I dialogi di Messer Speron Sperone’, a cura di Daniele Barbaro, Venezia, eredi di Aldo Manuzio, 1542]; se Dolce gli dice di preciso cosa cerca lo riferirà a Sperone e glielo chiederà in nome suo. Lo avvisa che nella notte ha composto il sonetto per [Alessandro] Piccolomini [‘Alessandro, se mai tanto da terra’ oppure ‘Voi veramente, signor mio, sapete’], ma non l’ha ancora trascritto e ora non ne ha il tempo; una volta mandato a Piccolomini lo manderà anche a Dolce. A proposito del sonetto ‘Qual ventura mi fu’ non lo ha riletto, ma gli pare di ricordare che viene inteso che il male degli occhi sia contagioso, e che avendo Petrarca guardato Laura, la quale aveva dolore all’occhio destro, ne sia stato contagiato, cosa fortunatissima per un amante [Francesco Petrarca, ‘Qual ventura mi fu, quando da l’uno’, Rerum Vulgarium Fragmenta, 223]; il male nell’occhio di Laura è passato al suo, come se lei sapesse che lo desiderava, così lo ha accontentato. Nella chiusa del sonetto Varchi legge che la natura doveva fare il suo corso, cioè passare il male all’occhio da Laura a Petrarca, anche perché a lui il dolore di lei rincresceva molto, così la pietà della natura ha fatto sì che il dolore passasse da lei a lui. Ha scritto queste cose, ricordandole, non perché pensa di saperne più di Dolce, ma per dire all’amico tutto quello che voleva sapere, come fa sempre. Chiede a Dolce di avvisarlo se trova un’esposizione migliore del sonetto di Petrarca, dato che pensa che la sua sia “commune e rozza”. In chiusura si raccomanda a Dolce.
- URL
- http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12133
- Nomi
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- [Mittente] Varchi, Benedetto
- [Destinatario] Dolce, Lodovico
Data indicizzazione: 11 giugno 2024