Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Varchi, Benedetto
Titolo
Lettera a Lodovico Dolce
Data
[Padova], [s. d.]
Descrizione
Benedetto Varchi risponde a Lodovico Dolce [cfr. ‘Non ho potuto dar la lettera di vostra signoria’ del 13 maggio 1553] che ha letto le sue ‘Trasformazioni’ [‘Le Trasformazioni di Messer Lodovico Dolce’, Venezia, Giolito, 1553] e gli scrive ora ciò che non gli è piaciuto, ma lo fa solo perché gliel’ha chiesto; in effetti Dolce non ha bisogno di imparare da nessuno, men che meno da Varchi, il quale si professa incapace di insegnare alcunché. Di certo non pensa che Dolce dovrà fare dei cambiamenti all’opera, gli consegna soltanto le sue opinioni chiedendo a sua volta quelle di Dolce. Nel primo canto ha notato errori negli articoli e nell’ordine delle lettere nelle parole; parole scritte erroneamente ed errori nel loro genere; gli consiglia poi di evitare di togliere vocali e consonanti a certi nomi. Ha letto ‘nemichi’, quando lui avrebbe usato ‘nemici’, chiede allora a Dolce se l’ha fatto per sua precisa volontà o se conosce una regola precisa, ignota a Varchi, per trasformare correttamente, dal singolare al plurale, parole terminanti in ‘co’ in ‘ci’ o ‘chi’. Gli consiglia di usare termini meno licenziosi in alcuni punti e di trasformare dal maschile al femminile alcuni articoli, e di aggiustare un plurale; in un punto invece ha tolto una vocale ad una parola femminile singolare, e non gli piace molto anche se sa che Petrarca scrisse “con mirabil tempre” [Francesco Petrarca, ‘Rerum Vulgarium Fragmenta’, 248 11]. Per il secondo canto inizia alludendo ad un errore di stampa, ma ne aveva visti altri, non menzionati per richiesta di Dolce; tra altre annotazioni indica quella per ‘musco’, che per valere come i “muscosi fontes” di Virgilio [Virgilio, ‘Eneide’, VII 45] dovrebbe avere aggiunte due lettere diventando ‘muschio’. Così “l’albero esculus” si chiama ‘eschio’ e non ‘eschia’; aggiunge che se Dolce vorrà ribattere che dalle sue parti si dice ‘eschia’, allora gli ricorda che Lodovico Ariosto dopo aver stampato “il suo Furioso” [l’'Orlando furioso’], grazie all’aiuto di Giovambattista Busini, cambiò molte cose secondo l’uso fiorentino. Tra altre annotazioni, su scambi tra maschile e femminile o su modi di dire che non gli piacciono, Varchi fa notare a Dolce che dovrebbe scriversi ‘frettoloso’ e non ‘frezzoloso’, anche se lo usa così [Pietro] Bembo [in più luoghi, per esempio in ‘Asolani’, I 28 (prima edizione Venezia, Manuzio, 1505; la seconda nel 1530) e nella dedica a Ottaviano Fregoso delle ‘Stanze recitate per giuoco’]. Ha notato anche che Dolce usa ‘mese’ e ‘commesse’ invece di ‘mise’ e ‘commise’: anche se pure a Firenze nel parlare si dice così, chi insegna la lingua fiorentina segnalerebbe l’errore. Nel terzo canto ha notato alcuni verbi scritti erroneamente, altri errori di genere e di parole usate in modo sbagliato, come ‘bambinetto’ invece di ‘bambino’, magari per imitare il ‘fantolino’ di Dante [Dante Alighieri, ‘Purgatorio’, XXIV 108 e XXX 44; ‘Paradiso’ XXIII 121 e XXX 140]. La parola ‘borsecchin’ gli pare troppo volgare, anche perché Petrarca disse “Materia da coturni e non da socchi” [Petrarca, ‘Triumphus Cupidinis’, IV 88]. ‘Gozzaglia’ “significando quello che Vergilio disse palearia” [Virgilio, ‘Georgiche’, III 53] gli piace: anche a Firenze si dice, similmente, ‘giogaia’. Petrarca disse “io le mi strinsi a’ piedi” [Petrarca, ‘Rerum Vulgarium Fragmenta’ 119 33] invece di ‘io me le strinsi’, e Dolce dovrebbe seguire questo esempio. Dopo altre numerose annotazioni ne riporta un’altra con un esempio di Petrarca, che scrisse “Poi che portar nol posso in tutte quattro” [Petrarca, ‘Rerum Vulgarium Fragmenta’, 146 12, ma ‘tutte et quattro’], quindi Dolce non dovrebbe scrivere ‘tutt’a tre’; oppure potrebbe usare ‘tutte e tre’ come Boccaccio. Dolce scrive ‘assella’, quella che i latini chiamavano ‘axilla’, citata anche da Catullo [Catullo, LXIX 6], mentre Boccaccio usava ‘ditella’ [Giovanni Boccaccio, ‘Decameron’, introduzione 1 e VI 10 23] e Dante ‘ascella’ [Dante, ‘Inferno’, 17 13 e 25 112], “come si dice ancor oggi”. Dove scrive ‘glielo’ gli ricorda l’autorità di [Pietro] Bembo che indica di scrivere ‘gliele’ [Bembo, ‘Prose’, III 22]. Ha notato ‘indura’ e ‘lima’ ma non ricorda perché, essendo stato vari giorni e in vari luoghi, come Camaldoli e Vernia, in compagnia del cardinale di Burgos [Francisco de Mendoza y Bobadilla]; sicuramente erano annotazioni di poco conto. Informa poi Dolce di altre annotazioni riguardanti problemi di rima e di consonanza; gli chiede poi di controllare errori di parola, genere e coniugazione. Non aggiungerà altro, sia per non infastidire ancora Dolce sia per non affaticarsi a ricordare annotazioni che non gli dicono più nulla; oltretutto sa che Dolce di tutto quello che ha scritto è consapevole, visto che ne ha “scritto le regole” [riferimento a: Lodovico Dolce, ‘Osservazioni nella volgar lingua’, Venezia, Giolito, 1550]. Ammette che prima di partire col cardinale era arrivato a leggere solo al quattordicesimo canto e al suo ritorno si stava già iniziando la ristampa [‘Le trasformationi di M. Lodovico Dolce, di nuovo ristampate e da lui ricorrette et in diuersi luoghi ampliate’, Giolito, 1553], quindi non è andato oltre, anche perché aveva il compito “di dover leggere nell’Accademia [degli Infiammati], come vi scrissi” [una lettura petrarchesca]. Lo prega di controllare in futuro il lavoro degli stampatori, che hanno fatto parecchi errori; chiede poi scusa se gli ha scritto troppe cose non necessarie o se ne ha tralasciata qualcuna di importante; se, dopo le varie correzioni, Dolce avesse notato nelle note segnalate da Varchi dei punti che non ha corretto, può segnalare quelle correzioni a fine opera, “dove si notato gli errori della stampa”. Conclude raccomandandosi a Dolce e agli altri amici.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12173
Nomi
  • [Mittente] Varchi, Benedetto
  • [Destinatario] Dolce, Lodovico

Data indicizzazione: 09 ottobre 2021