Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Tasso, Torquato
Titolo
Lettera a Dorotea Geremia Albizi
Data
[s. l.], [gennaio 1587]
Descrizione
Torquato Tasso scrive a Dorotea Geremia Albizi una lunga lettera consolatoria per la morte del marito Camillo Albizi, [ambasciatore di Toscana presso la corte di Ferrara], esprimendo alla donna il grave dolore per la perdita dell’amico: un’amicizia, infatti, può “congiungere gli animi” come un matrimonio. Ricorda le qualità del defunto ed elenca le virtù che lo rendevano “caro” a principi, amici, servitori e a tutti coloro che lo conoscevano, soffermandosi soprattutto sull’intensità della sua fede e sui meriti religiosi. Spiega alla Albizi che con questa lettera desidera offrire qualche consolazione al suo dolore, e le espone le ragioni per cui non è stato “così presto” a confortarla, paragonandosi a un medico che attende “che 'l male sia maturo”, prima di somministrare la cura. Inizia il suo ragionamento affermando che il dolersi per la morte di un marito è “cosa naturale”, e respingendo l’opinione di coloro che “lodano il non dolersi”; tuttavia, ammette che accrescere questo dolore “oltra misura” è cosa “contra natura”, lodando il criterio della moderazione in tutte le cose. Elogia l’ingegno, la nobiltà, la “pratica” delle corti della nobildonna, e le spiega che non deve ricorrere alla stessa “misura” nel dolersi come nell’amare, perché l’abbondanza di amore regala felicità, ma quella di dolore infelicità. Le consiglia di “servare il decoro” e di “mostrarsi costante”, visto che la “fortezza de l’animo” e la “castità vedovile” sono qualità tipiche delle donne della sua nazione [la Albizi era di origini tedesche]; e indica la ragione come miglior rimedio al dolore, come un “argine” che frena gli eccessi. Riflette sulla caducità della condizione umana, richiamandosi alla definizione di Pindaro di uomo come “sogno de l’ombra” [Pindaro, ‘Pitiche’, VIII, v. 95] e a quella del “poeta di maggior grido”, Omero, che paragona “la generazione de gli uomini a le foglie de gli alberi”; accenna ad alcuni racconti che ritraggono l’infelicità dell’uomo, come quello “de duo vasi”, da cui escono buoni e cattivi doni. Conclude che “piena di mali è la terra”, e nota che se le lacrime ponessero fine al dolore si potrebbero comprare con l’oro, come disse “il buon poeta comico”. Consiglia poi alla Albizi di trovare qualche conforto considerando i mali altrui: moltissime donne hanno perso mariti e figli, hanno tollerato la prigionia, l’esilio e la tirannide; e ne trova esempi sin dai tempi di Priamo e di Ecuba, ma soprattutto nella “regina di Napoli, che fu “magnanima ne l’esilio” e in quella di Francia, “prudentissima ne la guerra”, poiché entrambe hanno sopportato la perdita di marito e figli. Riflette poi sulla morte come unica soluzione alla “grandezza de’ mali”, invocata dai poeti quale un “medico”, o un qualcosa che reca “diletto”, come fa [Francesco] Petrarca in “O viva morte, o dilettoso male” [‘RVF’, 132, ‘S’amor non è, che dunque è quel ch’io sento’, v. 7]. Insiste sull’inscindibilità di vita e morte, richiamandosi ad Eraclito, e riflette sull’avvicendarsi delle generazioni e sull’andamento ciclico della vita sulla terra. Definisce la morte un “debito” che la natura riscuote senza che noi sappiamo quando, e ribadisce che la vita è “piena di molti dolori”: cita coloro che hanno sostenuto che fosse meglio “il morire che il nascere”, come si evince da tre luoghi petrarcheschi [Petrarca, ‘Triumphus temporis’, 1, 138; RVF, 352, ‘Spirto felice che sì dolcemente’, v. 14; ‘Triumphus mortis’, 2, 34-36.], o dall’idea di Socrate di morte come “sonno” e “fine de le fatiche”; anche Sofocle, nelle sue tragedie, riserva la felicità alla vita ultraterrena, e i miti di Cleobi e Bitone o Agamede e Trofonio sono ulteriori testimonianze di morte considerata come “grandissimo bene”. Afferma poi che “l’ottima vita” non è quella “lunghissima”, ma quella più virtuosa, come mostra di credere anche Petrarca [RVF, 248, ‘Chi vuol veder quantunque pò Natura’, vv. 5-6]; e un esempio ne è proprio il marito della Albizi, la cui vita non può definirsi “breve”: gli è stato concesso tutto il tempo necessario per “dimostrar la sua virtù” ed essere apprezzato sia in Italia che in Germania. Inoltre, il Tasso assicura alla nobildonna che, se il marito avesse potuto decidere le sue sorti, avrebbe optato senz’altro per “fuggir vecchiezza e suoi molti fastidi” [cita tre versi del Petrarca, ‘Triumphus mortis’, 1, 64-66.]. Descrive la sua morte come “un passaggio a l’onore”, e ironizza sulle accuse “piene di sciocchezza” mosse alla Natura e alle sue leggi, che l’uomo non può controllare. Analizza poi le ragioni del pianto: riflette sulla sua natura e lo accosta al dolore, essendo anch’esso fatto “per onesta cagione” e “lodevole ne la sua mediocrità”; ed elenca gli “uomini fortissimi” che hanno accresciuto la “dignità” delle lacrime, tra cui Priamo, per la morte di Ettore, Enea per quella di Anchise, Achille per Patroclo, Alessandro per Dario, Annibale per Marcello, Cesare per Pompeo e Francesco per “Braccio”. Si richiama all’autorità di Platone, Solone e Crantore, dell’accademia [di Atene], per sostenere le ragioni dell’importanza del pianto; ma cita anche Ennio, che nel suo epitaffio ammonisce di non piangerlo [lo riporta Cicerone, ‘Tusculanae disputationes’ I, XV, 34] o [Pietro] Bembo, anche lui restio alle lacrime. Tasso conclude, allora, che il pianto non si deve biasimare, come è giusto fare, invece, con il “soverchio lagrimare”; augura alla Albizi che suo marito possa dimorare nel “tempio de la Fama”, accennando poi ad alcune favole che raccontano dell’aldilà, come quella delle “isole de’ beati” o del processo di giudizio delle anime, fatto da Minosse, Radamanto, Eaco. Conclude ribadendo che le anime dei morti sono “felicissime”, perché abitano il “celeste regno”, e di questo la Albizi non può che consolarsene; la nobildonna può aiutarsi, tuttavia, anche con dei conforti terreni, quali sono i figli, la memoria del marito, e l’esempio di alcune eroine, come Alceste, Artemisia, Orestilla, la moglie di Gracco e quelle “de’ Mini o de’ Cimbri”, Ipsicratea, Giulia e Porzia.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=5606
Nomi
  • [Mittente] Tasso, Torquato
  • [Destinatario] Geremia Albizi, Dorotea

Data indicizzazione: 09 ottobre 2021