Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Dolce, Lodovico
Titolo
Lettera a Pietro Aretino
Data
Venezia, [s. d.]
Descrizione
Lodovico Dolce scrive a Pietro Aretino per informarlo che, mentre era nell'orto con amici a leggere la commedia "Il Marescalco" di Aretino [Pietro Aretino, 'Il Marescalco', Venezia, Bernardino de' Vitali, 1533], ha ricevuto una lettera da Nicolò Franco Beneventano, arrivato a Venezia da tre giorni e divenuto familiare di Aretino, la quale portava la sua firma non tanto nella sottoscrizione ma perché scritta male [Franco arrivò a Venezia nel 1536, la lettera invece è probabilmente successiva al 1538, dato che fino a questa data Aretino aveva un'opinione positiva di Franco]. Nella lettera Franco tesse le sue stessse lodi, mentre biasima Dolce, e per questo è una persona "non meno rustica che ignorante"; Dolce afferma di aver risposto a tono all'arroganza di Franco, ma senza scadere nelle di lui villanerie, da gentiluomo quale è, come ha dimostrato ospitandolo in casa sua. Dolce ora vuole riferire ad Aretino il contenuto della lettera, di come Franco si creda molto dotto riguardo "delle Latine lettere, e delle Volgari", ma sia Aretino che Dolce sanno che non conosce nemmeno il numero delle dita delle mani. Franco, scrive Dolce, ce l'ha con lui perché ha saputo che non gli piacciono i suoi scritti, e perché non vuole credergli quando afferma di essere "persona letterata e gran Poeta", e lo ritiene quindi incapace di capire la lingua latina; Dolce dal canto suo ride di queste accuse, e prova compassione per Franco, reputandolo peggiore di "Messer Macco" [Messer Maco da Coe, protagonista della commedia aretiniana 'La Cortegiana', divenuto proverbiale come persona sciocca e inconsapevole dei propri limiti]. Dolce vuole guarirlo da questa sua pazzia, e gli ricorda che è folle lodarsi da soli, specialmente quando, come Franco, non si ha niente da lodare, e che nessuno diventa poeta facendolo; sono le opere e l'ingegno che rendono un uomo famoso. Questo non può capitare a Franco anche avendo composto "cento Epigrammi" [Nicolò Franco, 'Hisabella', Napoli, Giovanni Sultzbach e Mattia Cancer, 1535], tali che gli scolari ne fanno di migliori, non deve quindi vantarsene e cercare di essere quello che non è, tanto quanto l'asino della favola di Esopo [favola non nel corpus esopiano] non doveva credere di essere un cavallo per avere una sella e gli altri finimenti. Nemmeno averli fatti stampare a Napoli è motivo di vanto, perché non si conosce nessuno a Napoli che li abbia venduti, e nessuno a Venezia che li abbia pubblicati, nonostante lui abbia cercato di farli stampare spacciandoli per inediti; dovrebbe quindi capire che non sono "cose buone", perché altrimenti ora verrebbero ristampati dappertutto. Dolce aggiunge che "il Bue" [Franco] non si accorge di non avere stile e di non conoscere bene il latino, e che forse la sua baldanza gli arriva dall'aver composto un commento sulla "Priapea" [opera mai pubblicata per la quale Franco fu incarcerato a Roma nel 1558], ma tutti sanno che l'ha copiato dal "Pedante del Marescalco" [personaggio della commedia di Aretino]. Infierisce dicendo che nonostante questi difetti Franco osa scrivere contro di lui, che quando ha voluto ha castigato personaggi decisamente più inopportuni. Non contento Franco dà del dozzinale a Dolce, senza accorgersi che non sa mettere insieme dieci parole che stiano bene, perché non conosce né grammatica né ortografia; la dimostrazione viene dai venti errori fatti in dieci righe, soprattuto per 'giudicio' scritto con la 't', quando ogni scolaro sa che viene scritto con la 'c', perché deriva da 'iudico', verbo latino, che vuole la 'c'. Non conosce quindi nemmeno, la pecora [sempre Franco, come prima era bue], un verso dell'Eneide che si legge in ogni scuola: "Judicium Paridis, spreteque ingiuria forme" [Virgilio, 'Eneide', I 27, ma 'spretaeque iniuria formae']. Franco commette altri errori, e non gli giova per le lodi che vuole fare di sé stesso il chiedere scusa a Dolce a inizio lettera per gli errori; Dolce lo ritiene quindi ignorante, quanto il rustico contadino [citando: 'Priapea', X 4-5] dell'opera da lui tradotta, e sa che i ciarlatani lo conosceranno a Venezia come l'hanno conosciuto a Napoli e a Roma. Chiede ad Aretino di fare in modo che "il Pellegrino" non veda la luce [non è nota alcuna opera di Franco con questo titolo], perché un ignorante come Franco non può guadagnarsi il pane spacciandosi per Pedante. Afferma che l'aver cercato la familiarità di Aretino, per sfruttarlo per la correzione dell'opera, gli si ritorcerà contro, perché il luminoso genio di Aretino oscurerà le "rozze rime" di Franco; questi non potrà nemmeno negare di aver chiesto a Dolce di corregerla, il quale ora afferma che l'unica correzione che quelle carte meritano è il fuoco. Dolce, aggiunge, viene biasimato da Franco, quando invece le sue opere sono state lodate e vengono lette da uomini ai quali Franco non è nemmeno degno di strigliare i cavalli, lavoro che faceva a Napoli. Dolce per far pubblicare le sue opere non ha neppure bisogno di ricorrere ai mezzi di Franco, il quale per far stampare le sue pessime opere cerca di dare agli "impressori" anche quello che non è suo, come "i Sonetti della Pescara"; truffa che costerà a Franco delle bastonate una volta scoperta, se non peggio. A Dolce poi basta che le sue opere vengano lette da Aretino e Bembo, senza avere altre lodi; le quali opere non potrebbero comunque essere tanto vili quanto quelle che Franco ha mai fatto, mentre egli le reputa gemme e pietre preziose. Se mai Dolce dovesse arrivare al punto in cui le sue conoscenze vengano superate da quelle di Franco, si riterrebbe il peggior uomo del mondo, quasi una bestia. Dolce si scusa con Aretino se ha scritto così tanto di un così pessimo soggetto, e si raccomanda a lui e a Messer Quinto [Gherardi], che ama nonostante la sua vicinanza con "ser Franco Poeta da Benevento, dotto in libris" [Gherardi fu protettore di Franco appena arrivato a Venezia]. In conclusione avvisa Aretino che gli manda una lettera di Bembo e un sonetto [perduto] scritto ad Ambrogio [Gianambrogio degli Eusebi].
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12096
Nomi
  • [Mittente] Dolce, Lodovico
  • [Destinatario] Aretino, Pietro

Data indicizzazione: 09 ottobre 2021