Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Dolce, Lodovico
Titolo
Lettera a Gasparo Ballini
Data
[Venezia], [s. d.]
Descrizione
[La lettera è ricavata da 'Lettere di diversi eccellentiss. huomini raccolte da diversi libri: tra le quali se ne leggono molte non piu stampate', Venezia, Giolito, 1554, pp. 499-507: è dunque preceduta da un argomento] Lodovico Dolce scrive a Gasparo Ballini, gioielliere, ricordandogli che dice sempre, quando discutono sui pittori loro contemporanei, che preferisce Raffaello da Urbino a Michelangelo; intende scrivere alcune ragioni di questa sua preferenza. Concorda nel dire che per "fierezza e terribilità di disegno" è uno dei migliori pittori mai esistiti, come conferma Ariosto [Ludovico Ariosto, 'Orlando furioso', XXXIII 2 4]. Aggiunge però che come nelle lettere si ricerca una "temperata misura", senza la quale non c'è grazia, così bisogna fare anche nella pittura. Nel rappresentare l'uomo un pittore deve tenere conto delle varie condizioni; anche se è più difficile rappresentare un uomo terribile e gigante rispetto a un uomo mansueto e comune, ciò non giustifica quel pittore che sempre lo dipinge così, uscendo dai dettami della natura, quando invece dovrebbe imitarla. Per quanto i giganti siano esistiti, e oltre alla letteratura greca e latina lo confermano anche le sacre scritture, non ce ne sono da molto tempo, da quando Sant'Agostino ricorda delle peregrinazioni per vedere, a Roma, poco prima della venuta dei Goti, una gigantessa [Agostino, 'De Civitate Dei', XV 23]. Persino Dante scrive che la natura ha fatto bene a smettere di creare giganti [Dante Alighieri, 'Divina Commedia', Inferno XXXI 49-51]. Il pittore non deve quindi preferire sempre i giganti all'uomo, avendoli abbandonati perfino la natura, anzi deve variare le sue composizioni, come è varia la natura. Chiede a Ballini se ritrova questa capacità nelle opere di Michelangelo, che ritrae gli uomini sempre terribili e giganti. Ballini può obiettare che la varietà sta nei modi di rappresentare queste figure gigantesche, ma Dolce afferma che in questa varietà c'è omogeneità. Michelangelo dice di essere il migliore dei pittori perché eccelle nel fare le rappresentazioni più difficili, come i corpi nudi, e nell'"iscortar le figure"; gli si può ribattere che non sempre l'uomo ha questa attitudine, quindi è meglio che il pittore non si focalizzi solo su nudi e figure di scorcio, ma che li dipinga poche volte, perché è nel farli raramente che creano meraviglia. Il pittore deve quindi destreggiarsi sia con lo spazio a disposizione sia con il disegno che intende fare, e dipingere le figure con discrezione. Nessuno può convincere Dolce che un pittore, per far vedere a tutti la sua bravura, debba sempre dipingere figure come quelle di Michelangelo, che è troppo licenzioso. Raffaello invece sa dipingere sia figure delicate sia terribili, come anche nudi e figure di scorcio, avendo rispetto per il sacro e per il profano. Raffaello sfrutta al massimo la diversità delle figure, diversità di età, sesso, posture, abiti, stature, forme e professioni. Negli abiti è a dir poco "miracoloso", li dipinge con grande ingegno, ed è in grado di differenziare i tessuti e di non farli sembrare "attaccati alle carni", in modo tale che non mostrino licenziosamente il nudo sotto di loro. Nelle proporzioni dei corpi Raffaello è altrettanto superbo, ci mette sempre diligenza ed amore. Dipingeva studiando lungamente il soggetto, volendo imitare le statue antiche e contendere alla natura la bellezza; le figure di Raffaello sono più belle di quelle vive, perché dà loro una perfezione che nella realtà non si ritrova, e tanto meno in una sola figura. Gli antichi, come Fidia e Apelle, ci dice Cicerone [Cicerone, 'Brutus' 70; 'Orazioni' 8-9], facevano come Raffaello; anche Zeusi nel prendere il meglio di cinque ragazze per rappresentare Elena avrà poi aggiunto qualcosa che loro non avevano [Plinio, 'Naturalis Historia', XXXV 64]. È raro non trovare, nelle opere di Raffaello, begli edifici e un'ottima prospettiva, e in "quanto alla Inventione" ha sicuramente fatto meglio della storia stessa. Per il colore ha sorpassato chiunque abbia mai dipinto in Italia, non solo i ritratti ma ogni cosa dipinta da lui lo dimostra; chi dice il contrario è invidioso oppure preferisce i colori usati per impressionare; come è successo a Papa Sisto IV, il quale fece realizzare dei dipinti, e un personaggio giudicò migliore uno di questi, creato da un pittore goffo, solo perché pieno di colori vistosi e accattivanti. Dolce non sostiene che i bei colori siano inutili, ma ogni colore lo è se non è supportato da un buon disegno, come lo sono le "belle parole senza il sugo et il nervo delle sentenze". Per Dolce sbaglia chi dice che Tiziano tinge bene, perché se i suoi pregi si fermassero a quello, una donna che sa truccarsi bene lo supererebbe, anche se in realtà è in grado solo di coprire i suoi difetti; Tiziano va lodato nel suo disporre le forme, perché cerca in loro la perfezione della natura, ed è divino in questo, come nell'amalgamare disegno e colore per far sembrare vivi i suoi soggetti. Un'altra qualità deve aver il buon pittore, e cioè far nascere un'emozione in chi guarda l'opera; quale emozione, lo decide il pittore col suo soggetto. Qualità che avevano anche gli antichi, come si può vedere nella statua del Laocoonte a Roma. Bisogna variare in base al soggetto, uomo, donna, contadino, soldato, anche la morbidezza delle carni; vario deve essere anche il colore della carnagione, meglio tra il bianco e il bruno, come nella 'Santa Caterina' di Tiziano, a San Nicolò dei frati minori [ora nei Musei Vaticani]. La varietà non deve essere però troppa, come fanno certi pittori per "dilettare a gli occhi de gl'ignoranti". Tutte queste considerazioni fatte da Dolce si trovano quindi in Raffaello, e non è strano, dato che in vita era lodato da tutti i migliori uomini e da morto è ammirato in tutto il mondo, e le sue opere sono preziose come le gemme e l'oro. Dolce ha quindi elencato le ragioni per le quali preferisce Raffaello a Michelangelo, considerando comunque quest'ultimo divino, il primo che "in questa età" ha dato luce e perfezione alla pittura, e ha riportato la scultura all'eccellenza degli antichi. Dolce pensa che probabilmente Ballini lo riterrà troppo ardito per aver parlato così liberamente di queste cose, ma afferma che chi le conosce non può sbagliare, mentre sbagliano quei pittori che non le conoscono e pretendono, imbrattando una tela, di superare Raffaello, Michelangelo e Tiziano, attribuendo al caso il fatto di non essere riconosciuti eccellenti. Questo ragionamento, ammette, lo si può fare anche con gli scrittori. In conclusione chiede a Ballini di dire a Camilletto [non identificato, forse un garzone di bottega] di lavorare molto e credere di sapere poco, perché è questa la strada per la perfezione di qualunque cosa.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12107
Nomi
  • [Mittente] Dolce, Lodovico
  • [Destinatario] Ballini, Gasparo

Data indicizzazione: 09 ottobre 2021